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Archive for the ‘HUB’ Category

Taste of China

20160811 invito2

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Oggi ho traslocato dalla mia stanzetta in sub-affitto di circa 5mq per entrare finalmente in un appartamento normale. Ma siete fortunati e non vi parlerò del mio trasloco. Vi parlerò però di quello di un mio amico. Andrea ieri ha traslocato dal suo sgabuzzino di 2.5mq in Mission, per andare a vivere in un “executive apartment” a South Beach, pagato da Facebook.

Il suo trasloco è sicuramente la cosa che mi ha più colpito di quello che e successo nel weekend e di cui ormai hanno parlato tutti: Facebook ha acquisito Glancee per una somma “undisclosed” ma che posso speculare essere tra i 5 ed i 15 milioni (questa è una stima personalissima, e probabilmente completamente sballata).

Ho conosciuto Andrea nel 2010, quando Alessandro Santo lo portò negli uffici di dPixel per cercare di investire in Glancee. Mi impressionò subito oltre che per la statura, le scarpe e la felpa dell’MIT anche per la sua storia e la sua intelligenza. Ha studiato Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano ed all’ultimo anno è stato scelto per un double-degree con uno scambio di sei mesi alla University of Illinois di Chicago. Dopo i primi sei mesi è rimasto per altri sei. La voglia di tornare in Italia era veramente poca e quindi ha preso la decisione di andare in un laboratorio dell’MIT per sviluppare un sistema informativo che studiava la mobilità, il turismo e le dinamiche sociali in contesti urbani. Il sistema è stato usato poi per analizzare la distribuzione ed evoluzione di attività sociali in Italia, Spagna, New York e Washington.

 “Non contento, ha deciso di tornare a Chicago per fare un PhD in Computer Science. Io sono ancora nell’ufficio a bocca aperta a questo punto.”

Andrea comincia poi a spiegarmi come dalla sua attività di ricerca e dalle sue esperienze di vita fosse nata Glancee. Avendo vissuto in quattro città diverse degli Stati Uniti in quattro anni senza conoscere nessuno, si era spesso trovato con il problema di dover creare ad ogni volta un nuovo “social circle”. Appena comprato il suo primo iPhone, ha aperto l’App Store convinto di trovare una app che gli permettesse di sapere chi ci fosse di interessante attorno a lui. Le app uscite nella ricerca erano solo di dating, ma niente che potesse aiutare a trovare persone con amici in comune, della stessa università o semplicemente con interessi simili.

Ed ecco nata Glancee. Andrea vede subito l’opportunità per una app del genere e comincia a sviluppare un prototipo, chiamando in causa Alberto Tretti, conosciuto a Chicago. Investono 40mila dollari risparmiati duramente negli anni, e si parte. Dopo un po’ si unisce anche Gabriel Grisé, canadese conosciuto all’MIT.

Dopo un’estate passata in un appartamento a Chicago per sviluppare il primo prototipo, i tre si scontrano con problemi tecnologici e di prodotto non banali e si rendono conto che sviluppare Glancee sarà più difficile del previsto. Ci vorrà un anno, fino a Giugno 2011 quando Glancee rilascia la sua v1 nell’App Store. Il prodotto è ottimo ed i ragazzi iniziano a contattare i giornalisti. Nessuno sembra interessato a scrivere di Glancee e di conseguenza gli utenti latitano. Stessa sorte con tutti gli investitori contattati. Nessuna risposta.

Andrea pensa che il problema sia Chicago, dove la scena startup è una frazione minuscola rispetto a quella della Bay Area. I soldi iniziano a scarseggiare ma Andrea decide comunque di trasferire baracca e burattini a San Francisco per giocare in Serie A (see what I did there?), la città più cara d’America. All-in. In quel periodo ero a Mountain View in quanto selezionato per fare da “ombra” a Dave McClure per due settimane. Andrea mi contatta ed organizzo un incontro con Dave – che sarebbe stato l’investitore perfetto per una società del gener – in modo da presentargli Glancee, sicuro che avrebbe apprezzato il prodotto, il team e la vision. Niente da fare, non ne volle sapere.

La risposta di tutti gli altri investitori (più di trenta) era sempre la stessa: “thanks, but no thanks”. Il morale inizia a scendere, i soldi ormai sono finiti e sia Andrea che Alberto devono indebitarsi per continuare a pagare l’affitto dello sgabuzzino dove vivono. La soglia della povertà rimarrà addirittura un sogno fino al suo superamento con il trasloco di ieri. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Mi vengono i brividi per il coraggio, per la passione, per l’umiltà e per la determinazione di un team che ha sacrificato tutto quello che aveva per la propria startup, i propri co-fondatori ed il sogno di farcela.

Come si fa a passare dall’avere una app senza utenti a una che puoi vendere a Facebook diventando milionari? Come si dice qui, “you hustle”. Ed Andrea è stato il mago dell’hustling. Dopo essere stato ignorato da tutta la “tech press” e aver visto decine di articoli sui suoi concorrenti, ha tentato il tutto per tutto commentando su TechCrunch per chiedere maggiore attenzione per la sua startup. Ha poi chiesto “likes” sul suo commento agli iscritti al gruppo Italian Startup Scene i quali (devo ammettere orgogliosamente avendo fondato il gruppo) hanno risposto con 142 like che lo hanno portato all’attenzione di Eric Eldon (scrittore di TechCrunch) e che hanno cambiato la sua storia. I post sono arrivati copiosi su molti blog, compreso quello di Robert Scoble e Glancee è stata una delle app protagoniste di SXSW, uno degli eventi principali qui negli Stati Uniti, che ha consacrato negli anni passati sia Twitter che Foursquare.

Non è la prima che volta che ISS si dimostra così determinante. La mia esperienza a 500startups è dovuta proprio al gruppo ed ai suoi upvote sul mio post su Quora, ma questa è una storia per un altro post. Nel giro di poche settimane, investitori e giornalisti si sono rifatti vivi, e con loro sono arrivate le prime chiamate di Tagged, Google, Facebook, Twitter e Foursquare, tutte interessate ad acquisire la società. Dopo una “bidding war” (asta al rialzo) e veloce trattativa Andrea decide che Facebook è la casa giusta per il suo team e la sua società.

La soglia della povertà ed i sacrifici fatti per arrivare a questo momento sono ormai un ricordo, anche se indelebile. Comunque sia, ho voluto raccontare la sua storia per far capire come i successi non avvengano mai “overnight”, dall’oggi al domani. Ogni caso di successo ha alle spalle anni di ricerca, sacrifici, litigate, co-fondatori persi per strada, infinite porte in faccia, umiliazioni, amicizie rovinate e tanti, tanti debiti.

Ora Andrea è milionario, ma per creare e portare sul mercato quello di cui era appassionato ha vissuto per anni in povertà rifiutando offerte di lavoro da Google ed altri giganti a 180mila dollari l’anno, sacrificando tutto quello che aveva per i suoi co-fondatori e per la sua passione. Gli insegnamenti che ho tratto dalla sua storia, dalla sua umiltà e dalla sua determinazione sono evidenti e spero che Andrea con la sua storia possa finalmente essere un modello per tutti gli aspiranti startupper italiani.

San Francisco, 8 maggio 2012
STEFANO BERNARDI

tratto da http://www.chefuturo.it/2012/05/la-vera-storia-di-andrea-vaccari-e-perche-zuckerberg-gli-ha-chiesto-lamicizia/

 

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Caro il mio Sebastiano,

parlare di talento per una come me che ancora non si sente arrivata e che continua a stringere i pugni in tasca come tu facevi da adolescente, è un compito arduo. Ma per te ci proverò!

Il talento nasce con noi, non si trova appeso agli alberi, non si improvvisa, è una grossa responsabilità. Non basta averlo per diventare qualcuno, bisogna impegnarsi, affinarlo, studiare e avere un’irriducibile vocazione al sacrificio.

Il mondo è nemico del talento, preferisce la mediocrità e la facile manipolazione dell’individuo; teme le idee e i cambiamenti. Chi ha talento si prepari, quindi, a essere il famoso “genio incompreso”. Tenacia, volontà, mai farsi prendere, se possibile, dalla depressione, andare avanti a testa alta e per concludere un piccolo consiglio: la postura è importantissima!

Mai curvare le spalle, proporsi diritti, determinati e se anche qualcosa dentro rode, non darlo mai a vedere. Naturalmente lavorare su se stessi al fine di cancellare ogni frustrazione e desiderare fortemente di imporsi.

Prefazione al libro “Dovresti tornare a guidare il camion Elvis”.Puntare sul proprio talento quando tutto sembra non funzionare
di Donatella Rettore

Se ritieni de avere talento,  se sei un “genio incompreso”, se hai voglia di lavorare su te stesso e metterti in gioco allora prenota il tuo posto per la presentazione del percorso “Groundwork for Profit HUB Edition” del 23 marzo alle 20:30 all’HUB… vieni e senti!

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Ci sono dei luoghi in cui, per un certo periodo, fioriscono i geni, in seguito torna la mediocrità. Atene fra il 450 e il 350 ospitava figure come Socrate, Platone e Aristotele, poi nulla. L’Italia ha avuto lo splendore del Rinascimento, poi le occupazioni straniere e la decadenza. Alla fine del secolo a Vienna c’erano Freud, Klimt, Mahler poi il deserto. In Francia negli anni Sessanta e Settanta Sartre, Simon de Beauvoir, Lévi-Strauss, Barthes. Oggi non c’e più nessuno come loro. In tutta Europa la cultura sembra avvizzita.

Perché? Perché non nascono più persone di genio oppure perché il nuovo ambiente non le aiuta a crescere, ad affermarsi, ma le ostacola e valorizza altri tipi di personaggi? Io credo che sia questa la vera causa. Quand’è che fioriscono i geni? Quando la società ha slancio, ottimismo, fame di futuro e quindi di persone competenti e geniali. Come in Italia nel dopoguerra, quando tutti volevano lasciarsi alle spalle la miseria e creare prosperità. Ed erano pronti a lavorare duramente, a prodigarsi. Gli operai lottavano per diventare piccoli imprenditori, gli studenti facevano a gara per sapere di più. I più bravi erano subito richiesti dalle imprese. In una piccola città come Pavia gli studenti universitari più brillanti erano conosciuti da tutti e ricercati dalle ragazze.

Poi è venuta la globalizzazione e una crisi dei sentimenti morali collettivi. Abbiamo una popolazione invecchiata, una economia stagnante, una scuola scadente, una università satellite di quelle anglosassoni, con studenti che non hanno più la passione del sapere. Fra cui si è radicato il devastante convincimento che chi fa bene, chi si prodiga, chi lavora duramente, chi merita, non verrà ricompensato, non avrà successo. Mentre riuscirà chi è spregiudicato, chi appare in televisione, chi trova protezioni politiche.

Si è diffusa l’idea che siamo in una «società liquida» in cui non conta ciò che hai fatto, non valgono la lealtà, la parola data. Cosa non vera perché se non resistessero questi valori la società smetterebbe di funzionare. E anche nel lavoro vediamo che i giovani preparati, pronti a lavorare e ad adattarsi, lo trovano. Ma con più fatica. Come fa più fatica chi ha grandi doti e si trova in un ambiente culturale che non lo aiuta e non lo capisce. Per riuscire deve avere una grande fede, un grande ideale e una fiducia di fondo nella natura umana per vincere ogni giorno la sfiducia, il cinismo, l’indifferenza di chi lo circonda.

Francesco Alberoni
18 ottobre 2010

(http://www.corriere.it/editoriali/alberoni/10_ottobre_18/alberoni_1092c244-da7c-11df-b6f8-00144f02aabc.shtml)

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dov’è HUB

HUB San Pietro in Gu Via Garibaldi, 16

(con la chiesa sulla destra andare in direzione nord al semaforo girare a sinistra dopo 100 mt entrare nel cortile. Parcheggiare nei posti liberi di fronte all’ingresso o a sinistra oppure nel retro).

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HUB, uno spazio “vero”

HUB è uno spazio di lavoro ed incontro per una nuova generazione di imprenditori, manager, professionisti, innovatori che si identificano con un nuovo modello di economia e società e che mettono la persona  al centro, che sono interessati alle sinergie create dal  lavorare insieme nello stesso luogo fisico.

Questo è stato il nostro obiettivo nel creare questo spazio che combina co-working, club, incubatore. HUB è ambiente che risponde al bisogno di futuro più etico e sostenibile.

Chi entra all’HUB non riesce mai a trattenere lo stupore per la bellezza dello spazio sempre in evoluzione. Gli spazi infatti non sono immobili ma si modellano sulle esigenze della community.

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